“Zero infinito” Pojer e Sandri è finito! Storia dell’ancestrale che rischiava d’esser bandito

Terminate le scorte della vendemmia 2018, i vignaioli trentini danno appuntamento al 21 marzo 2020


Non è poi così “infinito” lo “Zero infinito” di Pojer e Sandri. I vignaioli di Faedo (TN) hanno comunicato ieri alla clientela di aver venduto l’ultima bottiglia dell’ormai celeberrimo Metodo ancestrale da uve Solaris (Piwi).

“L’appuntamento per la nuova annata è sempre il 21 marzo”, 2020 s’intende. Questo il commento alla fotografia che, sulla pagina Facebook della cantina, ritrae un Mario Pojer e un Fiorentino Sandri “in splendida forma”. I due brindano sorridenti, su una pila di cartoni di “Zero infinito”.

Una foto scattata prima che l’etichetta – 24.500 bottiglie totali per la vendemmia 2018, solo 200 in più rispetto al 2017 – finisse sold out. Il tempo dei flash e puff. Come le star sul red carpet. In 5 mesi tutto “finito”. Senza più “in”.

IL FENOMENO “ZERO INFINITO”

E pensare che questo rischiava d’essere un vino di contrabbando. “L’impianto di Solaris – confida Mario Pojer in esclusiva a WineMag.it – è stato fatto nel 2009, ancor prima che questa varietà Piwi, già diffusa in Alto Adige, fosse inserita tra quelle autorizzate in Trentino”.

Abbiamo giocato sporco, insomma – scherza oggi il vignaiolo – ma la cosa ancor più bella è che quando abbiamo prodotto le prime 6 mila bottiglie, nel 2013, l’impianto sulla carta aveva appena 2 mesi: il tempo trascorso dall’autorizzazione del Solaris alla vendemmia. In realtà le viti avevano già 4 anni!”.

Spettacolare la zona di produzione. Siamo a Maso Rella, a Grumes, in alta Val di Cembra. A un’altezza compresa tra gli 800 e i 900 metri sul livello del mare. E in forte pendenza, come nella maggior parte dei vigneti di questa straordinaria area vitivinicola del Trentino. Nasce qui un vino dai mille significati per Mario Pojer.

“L’etichetta non è casuale – spiega – bensì il simbolo che il giornalista Francesco Arrigoni fece al termine della sua scheda di degustazione, quando venne qui a trovarmi. Gli parlavo di ‘zero chimica’, ‘zero solfiti’, ‘zero interventi’ e lui disegnò il simbolo dello ‘Zero infinito’, sul foglio su cui prendeva appunti. Era il maggio del 2011″.

“Tre mesi dopo – ricorda Pojer – Francesco morì prematuramente. L’anno successivo chiesi alla moglie il permesso di usare quel simbolo sull’etichetta di ‘Zero infinito’. Permesso che mi fu accordato”. Non a caso, ancora oggi si brinda con l’ancestrale di Pojer e Sandri al Premio Francesco Arrigoni, organizzato in memoria del cronista scomparso.

Del resto, Pojer e Sandri, non sono certo gli inventori del Metodo ancestrale. I due vignaioli trentini hanno saputo interpretare in maniera unica e originale l’onda delle bollicine “col fondo”, che trovano nell’area del Prosecco la loro terra d’elezione.

Lo hanno fatto col garbo e la cognizione di chi ama la propria terra. E con lo spirito di chi sa di essere solo di passaggio. “Zero infinito – spiegano i due vignaioli trentini – è un vino ancestrale a zero impatto chimico. Zero in campagna e zero in cantina”.

Il risultato di ottant’anni di lavoro di ricerca, tra Francia, Russia e Germania – continuano – e trentanove vendemmie in cantina, a Faedo, per arrivare alla purezza: il frutto della vite trasformato in vino, senza aggiunta esogena”.

“UN CONSIGLIO AI PROSECCHISTI? GUARDATE ALLA CHAMPAGNE”
“Ma ‘Zero infinito’ – sintetizza bene Mario Pojer – è soprattutto un vino che condensa in sé il futuro rappresentato dai vitigni resistenti Piwi come il Solaris, e la tradizione del vino che si imbottigliava con la luna calante di marzo e rifermentava in vetro, senza essere sboccato, protetto solo dall’anidride carbonica”.

Vini come il Prosecco “Col fondo”, per l’appunto. Ma anche la Bonarda dell’Oltrepò pavese o il Gutturnio dei Colli Piacentini. “Non abbiamo scoperto noi questa tecnica – sottolinea Pojer – ma prima di produrre ‘Zero infinito’ abbiamo appreso molto dalle vecchie generazioni di produttori di Prosecco”.

“Mi riferisco ai vari Gregoletto e Bortolin di Valdobbiadene – evidenzia il vignaiolo trentino, classe 55 – gente che ha più di 80 anni, perché oggi è difficile parlare di tradizione coi giovani produttori veneti, che sono cresciuti con l’esempio del Prosecco in autoclave”.

Proprio a proposito delle note bollicine del Veneto, per le quali si temono prezzi in picchiata per la vendemmia 2019, Mario Pojer ammonisce: “Agli amici veneti dico che non bisogna essere ingordi. A un certo punto occorre chiudere a nuovi ettari, a nuove bottiglie e ad altri miliardi. Il nostro mondo è fatto di rinunce e di limiti”.

“Fate piuttosto un bel giro in Champagne – suggerisce il vignaiolo trentino -. Al CVC, ovvero il Centre Vinicole Champagne, dove sono stato più di 30 anni fa, ho scoperto che la produzione annuale guarda fermamente al mercato: chiede 330? Si produce 299. Continuare sulla falsa riga odierna, per il Prosecco non è pensabile. È follia”.

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